L'Eterno Ritorno di Mircea Eliade

Pubblicato il 8 aprile 2025 alle ore 17:10

Il tempo, per come lo viviamo ogni giorno, è una linea retta: un orologio che ticchetta, un calendario che scorre da ieri a domani. Ma nell’esoterismo, il tempo non è così semplice. È un mistero, un cerchio, a volte un’illusione, altre volte un portale verso l’infinito. Da sempre, le tradizioni mistiche hanno guardato al tempo non come a una sequenza di eventi, ma come a una forza viva, un riflesso del divino o un campo da attraversare con la mente e l’anima. Gli antichi Egizi lo vedevano nei cicli del Nilo, gli Indù nei kalpa, vasti eoni che si ripetono senza fine, i Maya in ruote cosmiche che girano tra creazione e distruzione. Questa idea di ciclicità si scontra con la freccia lineare del tempo giudeo-cristiano o della scienza moderna, ma per i mistici è proprio qui che si nasconde il segreto: il tempo non è solo ciò che misuriamo, è ciò che siamo.

 

Nell’alchimia, il tempo non è un nemico da battere, ma un alleato: la trasmutazione del piombo in oro è un processo che riflette un’evoluzione interiore, un “tempo sacro” che sfugge alle lancette. Nella Cabala, il tempo è un’emanazione delle sefirot, una struttura divina che ordina il caos. In Oriente, Buddismo e Induismo parlano di un eterno presente, dove passato e futuro si dissolvono nell’attimo della consapevolezza. E poi ci sono i simboli: l’uroboro, il serpente che si morde la coda, rappresenta il ciclo infinito; l’astrologia usa il tempo per trovare momenti propizi, come se le stelle fossero un orologio cosmico. Nei rituali, il suono di un gong o una meditazione profonda possono piegare la percezione temporale, portando chi pratica a toccare un “fuori dal tempo” che la ragione non spiega.

 

Molti pensatori hanno provato a decifrare questa dimensione esoterica. René Guénon ha criticato il tempo moderno come una perdita di qualità spirituale, Julius Evola ha rimpianto un’epoca in cui il tempo era sacro, P.D. Ouspensky ha immaginato dimensioni temporali oltre la nostra comprensione. Ma tra questi, Mircea Eliade offre una chiave unica. Nel suo Il Mito dell’Eterno Ritorno, Eliade ci porta nelle culture arcaiche, dove il tempo non era una linea, ma un cerchio. Per loro, ogni anno, ogni rito, era un ritorno al “tempo delle origini”, un momento mitico in cui il mondo veniva ricreato. Pensate a un villaggio che celebra il raccolto: non è solo una festa, è un atto che riporta il caos all’ordine, che fa rivivere il primo giorno del mondo. Eliade lo chiama “tempo sacro”: non un passato lontano, ma un presente eterno che si può toccare attraverso il mito e il rituale. Per lui, la modernità ha spezzato questo cerchio, lasciandoci in un tempo profano, vuoto di significato.

 

Immaginate un sacerdote che danza sotto la luna, o uno sciamano che batte un tamburo: per Eliade, non stanno solo ricordando il passato, lo stanno vivendo. È un’idea potente: il tempo non scorre via, torna, si rigenera. Questo non è solo folklore: è una sfida a come vediamo la nostra vita. Oggi corriamo contro il tempo, lo misuriamo in secondi, lo riempiamo di scadenze. Ma l’esoterismo, attraverso Eliade, ci sussurra che forse c’è un altro modo. Un modo in cui ogni istante può essere un ritorno, un cerchio che si chiude. Forse il tempo non è una prigione, ma una porta. E se provassimo ad ascoltarlo, a sentirlo non come un ticchettio, ma come un respiro? Eliade ci lascia con questa possibilità: il tempo è più di ciò che vediamo, è un mistero da abitare.


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